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Divina Commèdia.

Poema didattico allegorico in terza rima, in tre cantiche e cento canti, di Dante Alighieri. Composto durante l'esilio del poeta, forse a partire dal 1307, le prime due cantiche (Inferno, Purgatorio) vennero divulgate durante la vita di Dante, mentre il Paradiso fu pubblicato postumo. Fu concepito, nell'ultimo capitolo della Vita nova, come una celebrazione di Beatrice: ma, sgorgato da tutto l'intimo dramma del poeta riuscì un'opera più vasta e complessa di quel che il primitivo disegno comportasse, quadro vivo e vero di tutta un'epoca e sintesi di tutta la cultura mistico-filosofica del Medioevo. Fu inizialmente intitolata Comedia, con esplicita allusione al suo svolgimento a lieto fine ed allo stile dimesso e piano in cui fu redatta. L'attributo di "divina", prepostole dal Boccaccio, venne ripreso dagli editori del XVI sec., ed è rimasto indissolubilmente connesso al titolo originario a significare la grandezza dell'opera più che non a qualificarne il contenuto. La sua struttura esterna rivela una costante, quasi superstiziosa preoccupazione dell'ordine e della simmetria: tre le cantiche, di trentatré canti ognuna (novantanove in totale più un canto introduttivo), terminanti tutti con la parola "stelle", la rima è tripla, ecc. Dante stesso aveva attribuito al suo poema il quadruplice significato che gli esegeti cristiani riconoscevano alla Sacra Scrittura: letterale, allegorico, morale ed analogico. L'Inferno è concepito come un'immensa voragine ad imbuto digradante in nove cerchi sino al centro della Terra, dove si trova confitta la mole di Lucifero. Nei nove cerchi, talvolta suddivisi in gironi o bolge, sono puniti, con un progresso di gravità stabilito dalla dottrina di san Tommaso, i vari peccati di incontinenza, di violenza e di frode. La sacra montagna del Purgatorio s'innalza al centro dell'emisfero delle acque agli antipodi di Gerusalemme: ha la forma di un cono tronco che va progressivamente restringendosi in cornici sino a dar luogo ad un ripiano dove è collocato il Paradiso terrestre. Anche qui le pene dei vari peccati, che si susseguono secondo un ordine crescente di gravità, sono regolate come nell'Inferno dalla legge del contrappasso. Nel Paradiso la sola e vera sede dei Beati è l'Empireo: ma per far comprendere sensibilmente all'ingegno umano del poeta la diversità dei meriti, Dio fa sì che le anime gli appaiano prima distribuite nei sette cieli planetari noti all'astronomia tradizionale per fargliele poi ricomparire dinnanzi nella grande rosa mistica che si aduna intorno a Lui nel trionfo finale. Ciascun cielo Dante immagina mosso da un coro angelico (intelligenza motrice): Angeli, Arcangeli, Principati, Potestà, Virtù, Dominazione, Troni, Cherubini e Serafini. ║ Inferno. Il fantastico viaggio s'immagina iniziato l'8 aprile del 1300, durante un venerdì santo. Perdutosi in un'orrida selva simboleggiante il peccato, il poeta tenta la via d'un colle allietato dai raggi solari; ma tre belve, una lonza, un leone ed una lupa, gli sbarrano il passo. A trarlo d'impaccio gli si presenta Virgilio, che si offre di scortarlo attraverso il regno dei morti; ed egli lo segue (I canto). Dubita Dante che le sue sole forze non bastino al terribile viaggio, ma apprendendo che il poeta latino è mandato da Beatrice, discesa appositamente dal cielo nel limbo, si decide a seguirlo (II canto). Varcata la soglia dell'Inferno, su cui nereggia un tremendo monito ("Lasciate ogni speranza, voi ch'entrate!"), i due attraversano l'Antinferno dove purgano il loro peccato gli ignavi, continuamente stimolati a correre da sciami di mosconi e di vespe. Sulle rive dell'Acheronte, dove a Caronte incombe l'ufficio di trasbordare le anime, Dante è vinto da un misterioso sopore (III canto) e si risveglia al di là del fiume. Visita il Limbo dove sono ospitate le anime di coloro che, pur senza colpe, non hanno ricevuto il battesimo. Fanno da scorta ai due verso il castello, che accoglie in disparte "gli spiriti magni", Omero, Orazio, Ovidio e Lucano venuti ad onorare l'ombra del poeta mantovano (IV canto). Nel secondo cerchio, guardato da Minosse, sono puniti i lussuriosi, travolti senza posa da una bufera sulle cui ali sono recati a Dante, Paolo e Francesca, amanti infelici (V canto). Ripresi i sensi perduti per l'emozione provata durante il colloquio con la peccatrice, Dante si ritrova nel cerchio dove i golosi sono percossi da pioggia e grandine. Tra essi riconosce il concittadino Ciacco, con cui indugia a parlare delle cose di Firenze (VI canto). Nel cerchio seguente, custodito da Plutone, i prodighi e gli avari sono condannati a far rotolare pesi grandissimi ed a cozzare tra loro, mentre gli iracondi e gli accidiosi del quinto cerchio si trovano immersi nel brago della palude Stigia (VII canto). Flegiàs traghetta i due poeti al di là del pantano dal quale emerge per un attimo Filippo Argenti, e li depone alle porte della città di Dite, la cui entrata è loro impedita da una torma di demoni (VIII canto). Un messo celeste apre ai due poeti le porte della città infernale, che nelle sue mura rinserra gli avelli infuocati degli eresiarchi (IX canto); fuori d'uno di essi si erge ancora fiera e indomita la figura di Farinata degli Uberti assieme a quella di Cavalcante Cavalcanti (X canto). Sostando dietro uno dei sepolcri degli eretici perché Dante si abitui al fetore che esala dal sottostante abisso, Virgilio espone al discepolo la topografia morale dell'Inferno (XI canto). Quindi, per una rovina che rende meno scoscesa l'erta, i due calano nel settimo cerchio, riservato ai violenti. Nel girone dei violenti contro il prossimo, immersi in un lago di sangue, sono collocati Ezzelino da Romano, Dionisio, Attila, Pirro e Pompeo (XII canto); nel secondo girone purgano le loro colpe i violenti contro se stessi, trasformati in sterpi che le Arpie vanno schiantando, fra cui c'è Pier delle Vigne, e i violenti contro la roba, inseguiti e dilaniati da instancabili cagne, e tra essi Dante scorge Rocco de' Mozzi (XIII canto); il terzo girone ospita i violenti contro Dio, fra i quali Capaneo: su di essi imperversa continuamente una pioggia di fuoco (XIV canto). Tra i violenti contro natura Dante s'imbatte in Brunetto Latini, che lo intrattiene sul suo avvenire, su Firenze e sui suoi compagni (XV canto). Da una seconda schiera di sodomiti, tutta di uomini politici, si staccano Guido Guerra, Tegghiaio Aldobrandi e Jacopo Rusticucci, a ragionare con Dante sulle cose fiorentine. Sul bordo interno del cerchio Virgilio chiama Gerione che venga a calarli nel cerchio successivo (XVI canto); e mentre Virgilio tratta col mostro, Dante visita i violenti contro l'arte, cioè gli usurai, tra i quali identifica un Gianfigliazzi, un Obriachi, Reginaldo degli Scrovegni, Vitaliano del Dente e un Buiamonti. Poi, in groppa a Gerione, i due scendono in volo nell'ottavo cerchio (XVII canto), che, suddiviso in dieci bolge, dà ricetto alle varie specie di peccatori di frode. Nella prima, riservata ai seduttori, si scorgono Venedico Caccianimico e Giasone; nella seconda Alessio Interminelli e Taide (XVIII canto). Nella terza tra i simoniaci, infilati a testa in giù nella bocca di stretti pozzi infiammati, Dante colloca papa Niccolò III, che gli offre un pretesto per lanciare un'invettiva contro l'avarizia papale (XIX canto). Nella quarta bolgia sfilano gli indovini condannati per contrappasso a muoversi col viso stravolto all'indietro: Anfiarao, Tiresia, Aronta, Manto, Euripilo, Michele Scotto, Guido Bonatti e Asdente. La vista di Manto induce Virgilio a narrare l'origine della sua città (XX canto). Nella bolgia successiva, in un lago di pece bollente cuociono i barattieri, sorvegliati da una turba di demoni crudeli e beffardi che tentano pure di ingannare i due visitatori (XXI canto). Qui languono Ciampolo di Navarra, frate Gomita e Michele Zanche, il primo dei quali riesce a giocare abilmente i suoi custodi (XXII canto). Nella bolgia degli ipocriti, tra i quali Dante ritrova Loneringo e Catalano, i dannati camminano sotto pesanti cappe di piombo indorate; altri - Caifas, Anna ed i membri del sinedrio che condannò Cristo alla crocifissione - sono inchiodati al suolo e calpestati (XXIII canto). Passato a gran fatica nella settima bolgia il poeta sosta a parlare con Vanni Fucci, un ladro che gli vaticina la rovina dei Bianchi di Firenze (XXIV canto). Dopo il centauro Caco, Dante scorge altri ladri: Cianfa, Agnello, Buoso degli Arbati, Puccio Sciancato, Francesco Guercio Cavalcanti, assoggettati a pene diverse a seconda delle particolarità del loro peccato (XXV canto). Diomede, Ulisse (XXVI canto) e Guido da Montefeltro rappresentano la schiera dei consiglieri fraudolenti tramutati in tante fiammelle (XXVII canto). al ponte che attraversa la nona bolgia Dante scorge lo spettacolo che i seminatori di discordie - Maometto, Alì, fra' Dolcino, Pier da Medicina, Curione, Mosca Lamberti, Bertram dal Bornio e Geri del Bello - offrono con le loro membra straziate che di continuo si rinsaldano per offrirsi di nuovo ai colpi di un demonio armato di spada (XXVIII canto). L'ultima bolgia è quella dei falsari, puniti con diverse orribili malattie. I falsificatori di metalli, tra cui Dante riconosce Griffolino d'Arezzo e Capocchio sono tormentati dalla lebbra scabbiosa (XXIX canto); i falsificatori di persone - Gianni Schicchi e Mirra - in preda a rabbia violenta s'azzannano a vicenda; l'idropisia e la sete colpiscono i falsificatori di monete, rappresentati da Mastro Adamo e dai Conti di Romena, mentre una febbre ardente divora la moglie di Putifarre, Sinone e tutti i falsificatori di fatti o di parole (XXX canto). Giunti al gran pozzo che si spalanca dentro le fasce delle malebolge, uno dei giganti custodi, Anteo, solleva i due pellegrini e li depone delicatamente nel fondo dell'abisso che costituisce il nono ed ultimo cerchio dell'inferno (XXXI canto). Ivi, in un lago ghiacciato ripartito in quattro zone concentriche si scontano i diversi peccati di tradimento. Dante visita successivamente la Caina, ove s'imbatte in Sassol Mascheroni, nei conti di Mangona, in Camicion de' Pazzi, traditori dei propri parenti, e l'Antenagora, dove, imprigionati fino a metà viso dal ghiaccio, languono i traditori della patria: Bocca degli Abati, Buoso da Buera, Tesauro da Beccheria, Gianni de' Soldanieri, Ganellone, Tebaldello (XXXII canto), il conte Ugolino e l'arcivescovo Ruggieri, protagonisti dell'indimenticabile episodio che apre il penultimo canto dell'Inferno. Dante passa poi nel reparto dei rei di tradimento verso gli ospiti, esemplificati da frate Alberigo e da Branca d'Oria, la Tolomea, e poi nella Giudecca destinata ai traditori dei benefattori (XXXIII canto). In mezzo alla palude ghiacciata di Cocito sporge l'immensa mole di Lucifero, che maciulla tra i denti i maggiori traditori dell'umanità: Giuda, Bruto e Cassio. Calando lungo il corpo villoso dell'"imperator del doloroso regno" e quindi attraverso un condotto sotterraneo, i due poeti riescono nell'emisfero opposto "a riveder la stelle". ║ Purgatorio. La montagna del Purgatorio s'innalza su un'isola sita al centro dell'emisfero australe degradante in convalli e spiagge nel mare, sulla cui sponda Catone fa da guardia all'Antipurgatorio (I canto). Da una navicella governata da un angelo sbarca una schiera di anime destinate a purgare nel regno della misericordia divina i loro peccati terreni. Tra esse Dante ravvisa un amico, Casella, che a richiesta intona una canzone da lui forse musicata in vita. Interviene però Catone a troncare gli indugi (II canto). Ai piedi del monte Dante e Virgilio si imbattono nella schiera dei contumaci alla Chiesa, condannati a sostare fuori del Purgatorio trenta volte il tempo della loro contumacia. Tra essi Manfredi di Svevia narra al poeta la sua fine (III canto). Più in alto attendono che s'apra loro la porta del regno i pigri, fra cui Belacqua; la loro attesa si protrae per tanto tempo quanto vissero (IV canto). La balza superiore ospita coloro che, come Jacopo del Cassero, Buonconte da Montefeltro e Pia de' Tolomei, si preoccuparono della loro salvezza eterna solo al momento della loro morte violenta (V canto). Più oltre ancora in una valletta appartata, sostano i principi il cui ufficio distrasse alle cure dell'anima e rese eccessivamente solleciti delle glorie terrene. Guida ai due poeti è qui Sordello, il cui nome richiama subito alla mente la famosa invettiva all'Italia discorde (VI canto). Ospiti della valletta amena sono Rodolfo d'Asburgo, Ottocaro di Boemia, Filippo III di Francia, Enrico di Navarra, Pietro III d'Aragona, Carlo d'Angiò, Arrigo III d'Inghilterra, Guglielmo VII di Monferrato (VII canto). Con Nino de' Visconti di Pisa e Corrado Malaspina, Dante si trattiene un poco a ragionare (VIII canto) fino a che il sonno non lo prende e, nel sonno, Lucia lo trasporta sino alla soglia del Purgatorio vero e proprio dentro il quale è assoggettato a mistiche formalità (IX canto). La prima cornice della montagna ospita i superbi, curvi sotto il peso di grandi massi (X canto); è qui che Dante incontra Omberto Aldobrandeschi, Oderisi di Gubbio e Provenzano Salvani (XI canto). Percorrendo il ripiano s'offrono agli occhi del poeta esempi di superbia punita; quindi ai piedi della scala che monta alla seconda cornice un angelo cancella il primo delle sette P tracciate dal custode del regno degli spiriti purganti sulla fronte di Dante (XII canto). Tra gli invidiosi, vestiti con un cilicio e con gli occhi cuciti da un filo di ferro, Dante incontra Sapia da Siena (XIII canto). In bocca ad un altro invidioso, Guido del Duca, Dante mette un'accesa deplorazione dei costumi di Toscana e della degenerazione dei romagnoli prima di sciorinare i rituali esempi di virtù premiata (XIV canto). Esempi memorabili di mansuetudine edificano il poeta, rapito in spirito, al suo entrare nella balza degli iracondi, che un fumo denso ed acre avvolge a somiglianza del fumo dell'ira che li rese ciechi in vita (XV canto). Marco Lombardo gli parla della corruzione del mondo, dovuta non tanto all'influsso degli astri quanto piuttosto alla confusione del potere spirituale col civile (XVI canto). All'inizio della quarta cornice, dove la notte sorprende i due viaggiatori dell'oltre tomba e li costringe a sostare, Virgilio spiega al suo discepolo l'ordinamento morale del Purgatorio, il principio secondo cui radice della virtù e del vizio è sempre amore (XVII canto) e le ragioni dell'umano maritare. Passano quindi correndo gli accidiosi, preceduti da due di loro che gridano esempi di attività e seguiti da due altri che proclamano esempi di accidia punita. Solo uno di essi, un abate di san Zeno, rivolge la parola ai visitatori, pur continuando la corsa (XVIII canto). Nella quinta cornice si trovano gli avari, e tra essi un papa: Adriano V (XIX canto). L'episodio di Ugo Capeto occupa quasi interamente il XX canto. Quindi i due sono raggiunti dall'anima liberata di Stazio che si unisce a loro e, dopo aver parlato della sua opera (XXI canto), racconta la storia del suo peccato e della sua redenzione. Insieme salgono al sesto balzo dove, da un albero ricco di frutti e di fronde, una voce arcana grida esempi di temperanza (XXII canto). Siamo nel luogo dove si purga il peccato di gola. Un goloso, Forese Donati, loda la virtù di sua moglie e biasima l'inverecondia delle donne fiorentine (XXIII canto); poi mostra a Dante, fra i suoi compagni, Buonaggiunta da Lucca, Ubaldino de la Pila, Martino IV, Bonifacio de' Fieschi e Marchese de' Argogliosi (XXIV canto). Nella successiva cornice i lussuriosi purgano il loro vizio nelle fiamme, esaltando la virtù contraria (XXV canto). Nel medesimo luogo si purgano i sodomiti, che volgono i loro passi in direzione opposta ai primi: fra i quali parlano a Dante Guido Guinizelli e Arnaldo Daniello (XXVI canto). Cancellato dalla fronte di Dante l'ultima P, egli può accedere al Paradiso terrestre, sito sulla sommità del monte dove Virgilio si dichiara assolto dal suo compito di guida e lascia il suo discepolo libero (XXVII canto). Inoltratosi nell'amena selva che gli si stende innanzi, il poeta è costretto a sostare ad un fiumicello, e dalla riva opposta una vaga e lieta donna, Matelda, gli spiega la topografia di quel luogo felice (XXVIII canto). è ancora lei che gli spiega il significato d'una misteriosa processione simbolica che si svolge davanti all'esterrefatto Dante (XXIX canto). A questo punto gli appare Beatrice ravvolta in un velo e, mentre Virgilio sparisce, rimprovera al suo innamorato i suoi traviamenti (XXX canto). Solo dopo che è stato immerso nel fiume dell'oblio il poeta ottiene di vedere Beatrice in tutto il fulgore della sua bellezza celeste (XXXI canto). Vicende e trasformazioni misteriose subisce il carro sul quale Beatrice s'era mostrata al suo protetto (XXXII canto). Dopo di che questi è condotto al fiume Eunoè, bevendo l'acqua del quale si sente rinnovato e disposto al viaggio celeste (XXXIII canto). ║ Paradiso. Dal Paradiso terrestre il poeta ascende alla sfera di fuoco e Beatrice gli rende ragione di questa sua miracolosa ascensione (I canto). Nel cielo della Luna la celeste guida descrive al discepolo l'ordine generale dei cieli (II canto). Qui egli incontra gli spiriti di Piccarda Donati, la quale gli parla di sé e dell'imperatrice Costanza assurte alla gloria di Dio malgrado avessero mancato ai voti religiosi (III canto). Varie questioni teologiche e morali risolve Beatrice al poeta prima di condurlo nel cielo di Mercurio riservato alle anime degli operosi per desiderio d'onore (IV e V canto). Giustiniano ritesse la storia dell'Impero, dimostrandone la funzione provvidenziale, e fa l'elogio di Romeo di Villanova (VI canto). Quindi Beatrice tratta della morte di Cristo e della Redenzione (VII canto), mentre a Carlo Martello, beato tra gli spiriti amanti nel cielo di Venere, è fatta recitare una deplorazione sull'indole degenere di Roberto, il successore di Carlo II d'Angiò, e una disquisizione sull'origine delle inclinazione umane (VIII canto). Poi sono indotti a parlare di questioni più personali e terrene Cunizza da Romano e Folchetto da Marsiglia (IX canto). Nel cielo del Sole compaiono le anime dei sapienti e dei dottori della Chiesa: san Tommaso d'Aquino, Alberto Magno, Graziano, Pietro Lombardo, Salomone, san Dionigi Aeropagita, Paolo Orosio, Boezio, Isidoro, Beda, Riccardo di San Vittore, Sigieri (X canto). Un domenicano, san Tommaso, tesse l'elogio dell'ordine dei francescani (XI canto): un francescano, san Bonaventura, risponde facendo un panegirico dei frati di san Domenico e censurando il proprio ordine. Con lui formano una corona di luci sante Illuminato, Agostino, Ugo di San Vittore, Pietro Mangiadore, Pietro Ispano, Natan, Crisostomo, sant'Anselmo, Donato, Rabano Mauro e Gioacchino di Fiore (XII canto). San Tommaso spiega a Dante in che cosa consista la sapienza di Salomone (XIII canto), prima che prenda la parola Salomone stesso sul tema della resurrezione della carne. Quindi Dante passa nel cielo di Marte che accoglie gli spiriti guerrieri raggruppati in forma di croce splendente (XIV canto). Insieme al suo trisavolo Cacciaguida, che gli parla del buon tempo antico di Firenze (XV canto), sono Giosuè, Giuda Maccabeo, Carlo Magno, Orlando, Guglielmo d'Orange, Rinoardo, Goffredo di Buglione e Roberto Guiscardo. Li lascia per salire verso Giove, al cielo dei principi giusti (XVIII canto), che ordinandosi a forma d'aquila luminosa lo intrattengono sull'impenetrabilità della giustizia di Dio e sulla generale corruzione dei principi cristiani (XIX canto). Dante si meraviglia di trovare qui accanto a David, Ezechia Costantino e Guglielmo il Buono due pagani, Traiano e Rifeo, e l'aquila spiega subito come essi abbiano potuto salvarsi (XX canto). Nel cielo di Saturno vengono ospitate le anime di coloro che vissero vita contemplativa, sotto forma di fiammelle che salgono e scendono per una scala altissima san Pier Damiano, che parla della predestinazione e del lusso del clero (XXI canto) e san Benedetto che lamenta la corruzione dei frati. Salito quindi all'ottavo cielo, il cielo delle stelle fisse, il poeta si volge a misurare con gli occhi lo spazio percorso e la piccolezza del nostro pianeta (XXII canto). Scende Gesù Cristo trionfante con Maria ed i Beati dell'Empireo; Gesù e Maria presto risalgono alla loro sede ma restano i Beati (XXIII canto). San Pietro interroga Dante circa la fede e premia la sua risposta cingendo tre volte la fronte dell'esaminato con la propria luce (XXIV canto). Sulla speranza lo ascolta e approva san Giacomo (XXV canto), mentre san Giovanni lo giudica sul tema della carità. Adamo dà ragguagli di sé e della lingua da lui parlata (XXVI canto). Udito san Pietro tuonare contro i suoi indegni successori, Dante passa al primo Mobile, dove anche Beatrice, prendendo spunto dalle considerazioni delle eterne bellezze, volge il discorso alle conseguenze del malgoverno sui costumi degli uomini (XXVII canto). Qui Dante ha la visione delle nove gerarchie angeliche che s'aggirano come cerchi di fuoco intorno ad un punto luminoso che è Dio (XXVIII canto). La genesi degli angeli, i predicatori di vanità e il commercio delle indulgenze offrono argomento al XXIX canto, che prelude alla salita del poeta all'Empireo. Ivi la miriade dei Beati disposti per gradi intorno alla luce divina forma una mistica rosa dentro la quale un posto è riservato ad Arrigo VII (XXX canto). Anche Beatrice lascia Dante per raggiungere il suo seggio, dal quale risponde con un sorriso benevolo ai ringraziamenti ed alle preghiere di lui, ed è sostituita da san Bernardo, che mostra a Dante Maria Vergine (XXXI canto). San Bernardo chiarisce al poeta l'ordine del divino consesso in cui siedono, tra gli altri Rachele, Sara, Rebecca, Giuditta, Ruth, san Giovanni Battista, sant'Agostino, san Francesco, san Benedetto, san Giovanni Evangelista, Mosè, sant'Anna, santa Lucia e i piccoli innocenti (XXXII canto). Quindi per grazia intercessa dalla Madonna, Dante può fissare lo sguardo nella divina Trinità di Dio e particolarmente nella divina unità di Gesù Cristo. E con ciò la visione finisce (XXXIII canto).